Mondragón

Una cooperativa spagnola con filiali europee

Mondragón

Il 6 novembre 2013, la fabbrica di elettrodomestici FagorBrandt dichiarava fallimento aprendo un periodo d’incertezza per i suoi 2000 salariati francesi. Questa impresa ha una particolarità: è la fililiale di Fagor Elettrodomestici, una cooperativa di lavoratori che si trova dall’altra parte dei Pirenei. La stessa sede centrale aveva dovuto aprire una procedura di interruzione dei pagamenti il 16 ottobre precedente. Questa cooperativa fa parte del gruppo cooperativo di Mondragón, un gruppo fondato negli anni 1950 nei paesi baschi. Attualmente primo gruppo industriale e finanziario del Paese basco e quinto dello Stato spagnolo, riunisce 110 cooperative e 80.000 lavoratori. Presentata finora come un esempio di eccezionale successo, questa cessazione dei pagamenti da parte di Fagor Elettrodomestici, la cooperativa più antica del gruppo, significa la fine del «mito» di Mondragón [Kasmir, 1996]?

Mondragón, un gruppo unico al mondo

Ispirati da Don José Maria Arizmendiarrieta, un prete repubblicano che era sfuggito per poco al plotone di esecuzione durante la guerra civile, cinque giovani della città di Mondragón­-Arrasate decidono nel 1956 di fondare un’azienda che si occupa di riscaldamento domestico, la Ulgor. Questa azienda è organizzata come una cooperativa operaia: essa è gestita esclusivamente dai lavoratori con una direzione (Consiglio direttivo) nominato e revocabile da parte dell’Assemblea generale. Dal 1958 in poi altre cooperative vengono create ex­ nihilo nel solco di questa prima esperienza (Arrasate, Copreci, etc.) o per gemmazione da attività di cooperative già esistenti (Ederlan, ad esempio).

Dal momento che per lo sviluppo di queste cooperative sarebbero stati necessari dei mezzi finanziari ben più consistenti dei fondi iniziali, è stata creata una banca, la Caja Laboral, cooperativa di secondo livello che raccoglierà il risparmio locale. Il rapporto tra Caja Laboral e cooperativa finanziata è basato su un equilibrio tra l’indipendenza della banca nei confronti di ciascun progetto e il controllo dell’attività di quest’ultima da parte delle cooperative associate.
Ogni cooperativa che stabilisce una relazione con la banca accetta di conformarsi alla struttura giuridica delle prime cooperative e di adottare una griglia di redditi in rapporto a quella delle altre cooperative. Esclusi dal regime generale della sicurezza sociale spagnola, i soci membri creano nel 1967 Lagun­Aro, una mutua che, garantisce ai membri delle cooperative affiliate un’assicurazione contro la disoccupazione, la malattia, l’inabilità al lavoro così come una pensione con la creazione di fondi appositi A questo insieme di cooperative di lavoro si aggiungeranno altre cooperative, di formazione (Alecop), di ricerca (Ikerlan), di consumo (Eroski) o agricole (Lana). Alcune sono cooperative di secondo livello, ma tutte possiedono un comitato di
gestione che permette di rappresentare i lavoratori di queste particolari cooperative.

Nel 1965, per mettere in comune i profitti, si costituisce un primo gruppo cooperativo: Ularco. Questo tipo di organizzazione ha permesso a queste cooperative di superare la crisi dell’inizio degli anni 1980: le perdite di alcune entità sono state compensate dal guadagno di altre, dato che i soci delle cooperative delle realtà che dovevano ridurre il loro personale si sono visti proporre dei posti di lavoro all’interno di quelle in crescita. Con questa strutturazione, è stata così creata una vera Assicurazione sociale professionale [Boccara, 2002] [Guigou, 2005] in grado di garantire un impiego a vita ai suoi consociati. Nel 1987, dieci gruppi cooperativi erano già costituiti su questo modello e un congresso costituente organizzava la loro fusione in un unico gruppo che si sarebbe chiamato Mondragón, dal nome della città in cui aveva avuto origine questa esperienzau [Whyte & Whyte, 1991].

Questa organizzazione in gruppo risulta originale se confrontata alle strutture dei gruppi capitalisti. In questi ultimi, gli azionisti sono proprietari della struttura principale -holding – che possiede un insieme di filiali. A Mondragón, le cooperative sono le costituenti del gruppo e restano sovrane: una cooperativa esistente può tranquillamente chiedere di entrare nel gruppo e, viceversa, ogni cooperativa può decidere di lasciarlo. Lungi dall’essere un handicap, questa doppia strutturazione in cooperative di lavoratori e in gruppo federativo può permettere a questo
raggruppamento di sperimentare uno sviluppo folgorante. Nel 1989, i suoi effettivi erano 22.000. Nel 2009, arriveranno alla cifra di 85.000.

Una internazionalizzazione a marce forzate

L’entrata della Spagna nel mercato comune europeo ha significato l’abbandono progressivo delle barriere doganali e la messa in concorrenza generalizzata di tutte le cooperative. E’ così che la cooperativa Ulgor, divenuta in seguito Fagor Elettrodomestici, specializzata nel settore, dovrà far fronte all’arrivo di concorrenti del calibro della svizzera Electrolux o l’americana Whirlpool. Lo choc è brutale per questa cooperativa che dovrà nello stesso tempo ridurre i costi di produzione e fare un salto di qualità.

Nel 2005, Fagor Elettrodomestici acquista Brandt in Francia. Un cambiamento di dimensioni immediato con 2.000 salariati supplementari e l’apporto di un portafoglio di marchi prestigiosi: Brandt, De Dietrich, Vedette, Océan, San Giorgio. In modo abbastanza curioso, Fagor Elettrodomestici non ha mai proposto ai salariati francesi di unificare il gruppo dei soci dell’impresa. Brandt, ribattezzata FagorBrandt, è rimasta una filiale di Fagor Elettrodomestici. C’è di peggio, questa acquisizione si è costruita su una ristrutturazione e attraverso decine di licenziamenti, come sarebbe accaduto in qualsiasi gruppo capitalistico [Argouse & Peyret, 2007].

Questa strutturazione in filiali è stata generalizzata negli ultimi anni all’insieme delle cooperative del gruppo. Mondragón federa ormai 110 cooperative e queste ultime controllano 147 filiali [Mondragón, 2013]. A un certo punto, meno di un lavoratore su due era socio. Il gruppo ha raddrizzato la barra in extremis facendo aderire in modo massiccio i salariati a Eroski, la cooperativa di grande distribuzione del gruppo, e il tasso di adesione sarebbe ormai migliorato.
Tuttavia l’assoggettamento salariale diventa moneta corrente in questo gruppo di cooperative di lavoratori.

Il divorzio Fagor Mondragón

La strategia di crescita esterna di di Fagor Elettrodomestici mostra oggi i suoi limiti. Questa impresa ha il doppio handicap di operare nel settore elettrodomestico e di avere la propria base in Spagna, due mercati particolarmente in crisi. Il suo grande concorrente, la svizzera Electrolux, ha conosciuto una brutale caduta del suo fatturato e progetta di sopprimere 2.000 posti di lavoro e di chiudere la sua fabbrica italiana nata dal rilevamento della Zanussi nel 1984. Se Fagor Elettrodomestici si è ampiamente internazionalizzata in questi ultimi anni, non resta perciò meno
fortemente legata al suo mercato di provenienza, dato che il 30% delle sue vendite è realizzato in Spagna, paese in piena recessione.

La società impiega circa 5.600 persone, filiali comprese, per solo 2000 soci. Essa conta tredici fabbriche in cinque paesi: Spagna, Francia, Polonia, Marocco e Cina. Nel maggio 2012 i soci avevano deciso di ridurre i loro profitti del 7,5% e accettato il criterio della mobilità. Questo non è bastato. Nel primo semestre 2013 il gruppo ha subito una perdita di 60 milioni di euro, tre volte maggiore di quella del primo semestre 2012, e il suo fatturato ha subito un ribasso del 19% con 491 milioni di perdita.

La situazione è diventata catastrofica. Il suo indebitamento è superiore a 830 milioni, ossia 145.000 euro per ogni lavoratore e 415.000 euro per ogni socio. Dopo qualche mese, i fornitori erano reticenti a fare consegne all’impresa e alle sue filiali, il che arrestava frequentemente la produzione. In Francia quattro sedi di Fagor Brandt –due in Vandea, una a Orléans e l’altra a Vendôme– sono tutte inattive dopo il 14 ottobre, per l’impossibilità di pagare i fornitori. E’ in questo contesto che l’impresa ha imboccato la strada di una procedura tipicamente spagnola di negoziazione per ristrutturare il suo debito.

Niente funziona più tra Mondragon e la cooperativa. Il 30 ottobre, la direzione del gruppo ha troncato i rapporti. Mondragón stima che le risorse che l’impresa chiede «non basterebbero a garantire la sua viabilità». Ci stiamo incamminando chiaramente verso un’uscita di Fagor Elettrodomestici dal gruppo Mondragón. Il valore simbolico di tutto ciò è molto forte: Fagor Elettrodomestici era nello stesso tempo la più antica cooperativa del gruppo ma anche la sua più grossa struttura industriale.

Al di là della situazione contingente

Il fallimento di Fagor Elettrodomestici è il risultato di una concomitanza di fattori sfavorevoli. La strutturazione in gruppo era stata pensata per facilitare l’evoluzione da un settore economico all’altro. Mondragón si è dimostrata particolarmente innovativa nell’organizzare le sue cooperative di secondo livello assicurando il finanziamento, la sicurezza sociale, la formazione e l’innovazione. Paradossalmente, sul terreno dell’internazionalizzazione, il gruppo ha mostrato un grande classicismo, non facendo altro che riprodurre ciò che le imprese capitaliste facevano in materia. Diverse spiegazioni sono già state avanzate –nazionalismo basco, difficoltà di implementare le cooperative europee­- spiegazioni che restano comunque discutibili. Ma il fattore
senza dubbio essenziale è il limite della stessa forma cooperativa, una via di mezzo tra la proprietà privata e una appropriazione sociale pienamente realizzata.

Per raggiungere una entità come quella di Mondragón in qualità di socio, occorre oggi un contributo di circa 14.000 euro di capitale. Se non c’è la disponibilità di questa somma, la banca del gruppo, la Caja laboral, fa un prestito che sarà rimborsato con prelievi sulle remunerazioni. Al di là delle parti sociali, le entità del gruppo hanno accumulato riserve che, in regime cooperativo, sono indivisibili: questo significa che esse non appartengono a nessuno in particolare ma sono a disposizione della collettività dei soci. Le somme a disposizione attualmente sono considerevoli.
Le parti sociali rappresentanola 2,05 milliardi di euro e le riserve 1,9 milliardi. Evidentemente i lavoratori associati del gruppo Mondragón sono divenuti, nel difendere la loro sopravvivenza, dei «piccoli capitalisti» che faranno di tutto per difendere il loro capitale. Per resistere alla concorrenza straniera, essi rilevano delle imprese per realizzare delle economie di scala e posizionarsi sui mercati, donde la decisione di procedere a licenziamenti a partire dall’acquisizione di Brandt in Francia.

Individuiamo qui un limite della cooperativa, un ente certo gestito collettivamente ma che resta di natura privata. Le parti sociali sono private e, nel caso spagnolo, si rivalorizzano. Le riserve indivisibili sono collettive ma costituiscono una proprietà privata per le persone esterne alla cooperativa. Questo appartiene alla natura stessa della cooperativa per cui solo un’impresa finanziata interamente da un settore bancario socializzato potrebbe evitare questo scoglio. Se resta del cammino da percorrere in questa direzione, il fatto che il recupero di fabbriche in forma
cooperativa da parte dei lavoratori avvenga col minimo impegno di fondi propri è molto incoraggiante. Nel caso di Fagor Elettrodomestici, questo avrebbe significato un associazionismo senz’altro più ampio, un’estensione del gruppo Mondragón al di là delle frontiere della Spagna e quindi una capacità di resilienza del gruppo più forte di fronte alla doppia recessione del mercato degli elettrodomestici e del paese. In poche parole, Fagor Elettrodomestici non ha sofferto a causa della cooperazione ma a causa della mancanza di vera cooperazione.

L’esperienza di Mondragón resta un motivo di speranza poiché essa dimostra che non c’è assolutamente nessuna ragione razionale per affermare che le imprese capitalistiche risulterebbero più efficaci rispetto alle imprese dirette dai lavoratori stessi. La sicurezza dell’impiego così come la riduzione del ventaglio salariale non sono mai stati un freno all’espansione di un gruppo che ha quasi raddoppiato i suoi dipendenti ogni cinque anni nel corso di venti anni.

Ciò che è stato realizzato – democrazia del lavoro, coordinazione, sicurezza sociale e
professionale –su scala tutto sommato modesta– 80.000 lavoratori – potrebbe essere fatto anche a livello di un paese o di una regione. E’ probabile che su una scala del genere, i desiderata degli utenti potrebbero esprimersi corto­circuitando la curva del mercato, realizzando così la riconciliazione tra la cooperativa di lavoro e la cooperativa di consumo, così come era stato inteso da Charles Gide a suo tempo [Pénin, 1998]. Nessun dubbio che una tale evoluzione centrata sui bisogni e non sulla rendita del capitale è di natura tale da trasformare profondamente la natura stessa della produzione.

Bibliografia

Argouse Anne & Peyret Hugues, Les Fagor et les Brandt, DVD, Antoine Martin Productions, Paris, 2007
Boccara Paul, Une sécurité d’emploi et de formation, Le Temps des cerises, 2002
Guigou Élisabeth, Crise de l’emploi, malaise au travail, Pour une sécurité des parcours
professionnels, Les Notes de la Fondation Jean­Jaurès, Paris, 2005
Kasmir Sharryn, The Myth of Mondragon : Cooperatives, Politics, and Working‐Class Life in a Basque Town, State University of New York Press, 1996
Mondragón, Annual Report 2012, Mondragón Corporation, 2013
Penin Marc, Charles Gide 1847­1932, l’esprit critique, Éditions L’Harmattan, 1998
Whyte William Foote & Whyte Kathleen King, Making Mondragon, The Growth and Dynamics of The Worker Cooperative Complex, Cornell University Press, 1991