40 anni dopo, l'apporto del Che alla nostra autogestione operaia

40 anni dopo, l'apporto del Che alla nostra autogestione operaia

I compagni e le compagne responsabili di questo quotidiano hanno sollecitato una mia collaborazione a proposito del quarantesimo anno dell'assassinio di Ernesto Guevara de la Serna, el Che, in Bolivia. Collaborazione a cui non posso negarmi ma… come stabilire una relazione tra esperienze tanto distanti nel tempo, quattro decadi, e gli obiettivi, la rivoluzione e le imprese recuperate sotto gestione operaia? Quali sono i punti di incontro che possano stimolare una lettura attenta capace di contribuire alla attività quotidiana dei lettori?
Forse risulta possibile farlo se rivediamo l'aspetto più creatore del Che (1), quello non perché meno conosciuto o poco divulgato, meno importante. Non si tratta di negare il "guerrigliero eroico" che è stato o l'"internazionalista conseguente" che anche lo è stato, ma di andare all'incontro con il Che in quanto uomo di idee, portatore di un pensiero critico, concreto e ribelle.

IL CENTRO E’ L'UOMO
Per Ernesto Guevara si trattava di costruire "... un sistema socialista, coerente, o approssimativamente coerente, nel quale abbiamo collocato l'uomo al centro, nel quale si parla dell'individuo, della persona e dell'importanza che questo ha come fattore della rivoluzione". Non è forse nelle imprese recuperate dalla gestione operaia, nelle cooperative autenticamente autogestionate dai lavoratori e dalle lavoratrici, non sono forse gli uomini e le donne che la nutrono con la loro attività quotidiana coloro che si trovano poi al centro della stessa? Non è il capitale, non è il mercato, non il profitto, né il padrone, né il caporale, bensì i protagonisti diretti. Quindi, c'è una piena consapevolezza in loro dell'importanza che questo assume per il progresso sociale di queste formidabili esperienze?
Guevara poneva che lo sviluppo della coscienza era l'unico cammino possibile che conduceva alla nuova società. Che gli stimoli materiali sono un male necessario ma che bisogna cominciare a eliminare, che nessun uomo cosciente può essere sostituito da questi. Al contrario che i lavoratori dovevano fare un atto creativo in ogni momento del loro lavoro.

LA SCUOLA DEL FARE
Il Che non era un teorico, né disponeva di una previa formazione rigorosa, al contrario cominciò a formarsi dalla pratica. Esercitava come pochi altri quella vecchia massima leninista "la teoria nasce dall'azione e al tempo stesso la arricchisce". Diceva… teorizzare quel che si è fatto e generalizzare l'esperienza perché altri ne prendano esempio… é l'esperienza che giorno dopo giorno stanno raggiungendo i lavoratori e le lavoratrici delle imprese recuperate sotto gestione operaia e delle cooperative autogestionate che ci mostra che loro stessi si stanno formando in quella "scuola del fare". Con la decisione di iniziare a produrre si riappropriano della conoscenza di ogni compito lavorativo, quei saperi che il capitale toglieva loro ogni giorno. Ma al tempo stesso scoprono la necessità di apprendere nuove conoscenze, che il padrone e il caposquadra gli occultavano. Avanzano così in un apprendimento integrale di tutto il processo.
Al fare incursione nelle tematiche amministrative, al conoscere il costo delle materie prime e delle principali spese, al conoscere i prezzi di vendita reali, e delle manovre finanziarie, di quanto pesa il loro salario nel costo finale del prodotto o servizio, al sapere quante ore in eccedenza lavorano sotto padrone, iniziano a conoscere l'origine del profitto e il carattere (la forma..) dello sfruttamento capitalista.
Come socializzare queste conoscenze? La creazione della FACTA è un mezzo, nasce da un'istanza organizzativa che vuole superare la frammentazione per difendere interessi comuni e promuovere solidarietà ma può anche essere uno strumento per l'analisi delle diverse esperienze, elevarle ad una generalizzazione più concettuale e volgerla poi perché i propri protagonisti prendano coscienza di ciò che stanno protagonizzando, "...perché altri ne prendano esempio", come diceva il Che.

NUOVE RELAZIONI SOCIALI
Il processo che ha portato i lavoratori e le lavoratrici  a gestire le imprese abbandonate dai loro padroni è stato un processo obiettivo, nato dalla propria crisi che ha spostato il centro della lotta dall'orbita della redistribuzione del reddito a quella delle relazioni sociali di produzione. Dalla  sua prospettiva critica, umanista e antidogmatica il Che affermava "...lottiamo contro la miseria ma al tempo stesso lottiamo contro l'alienazione". Il socialismo come semplice redistribuzione sociale , come nuova coscienza produttivista, non gli interessava, sì invece come concezione del potenziamento del processo di trasformazione.
Sotto la legge del capitale il lavoro diventa astratto, il prodotto di quel lavoro appare come estraneo al lavoratore, quella è la base della alienazione del lavoro sotto il capitale. Al contrario che i lavoratori si facciano carico delle imprese che i padroni abbandonano rende evidente una delle grandi mistificazioni con le quali funziona il sistema: che il padrone sia insostituibile. Al farsi carico della produzione i lavoratori e le lavoratrici iniziano a superare gli aspetti di quella alienazione nel posto di lavoro. L'azione autonoma di occupare, resistere, produrre, vendere, riscuotere, pagarsi da soli, rompe quel monopolio del sapere e l'autorità che esercita il padrone e che trasmettono il caporeparto o il supervisore. Si stabiliscono così nuove relazioni sociali che tendono a liberare la capacità innovativa degli uomini e delle donne che solo vivono del loro lavoro.
"La rivoluzione non è come pretendono alcuni, una standardizzazione della volontà collettiva, dell'iniziativa collettiva, bensì il contrario, è liberatrice della capacità individuale dell'essere umano"

DIFENDERE I SUCCESSI APPROFONDENDOLI
L'uomo si trova al centro del processo autogestionario e delle trasformazioni che questo comporta, ma nel sistema del capitale questo ha dei limiti. Non è possibile stabilire un’economia non capitalista all'interno del capitalismo, si pongono così sfide importanti per il loro futuro nelle imprese sotto gestione operaia e cooperative autogestionate.
Durante tutto un primo periodo-di occupazione/resistenza/produzione-che viene chiamato "periodo eroico" (2) i lavoratori e le lavoratrici riescono a stabilire meccanismi di decisione collettivi, cooperativi e solidali. Ma una volta ottenuta una certa stabilizzazione economica -recuperata la catena di approvvigionamento e distribuzione- e giuridica -espropriazioni temporanee o definitive- si apre un nuovo periodo che in mancanza di una migliore denominazione ho chiamato "del mercato e della concorrenza".

Se ciò che caratterizza il primo periodo è la volontà collettiva, l'audacia, lo sforzo, quel che spinge ora è la razionalità impresaria, l'introduzione di metodi e criteri di gestione, il calcolo di costi e rendite. Si apre così un tempo di rischi e pericoli che deriva dal non potersi isolare dal mercato e dalla concorrenza.

Il Che formò buona parte del suo pensiero dentro l'azione concreta nel momento della costruzione del socialismo.Nel sempre difficile periodo di transizione dove il passaggio da una società esaurita e decadente a una società nuova si vede limitato dai brutti vizi del passato. Quel passaggio "... trascorre nel mezzo di una violenta lotta di classe e con elementi di capitalismo nel suo seno...", è lì dove viene posta a dura prova la fermezza e la coerenza dei dirigenti.

E’ noto come in quel periodo al Che preoccupasse che il settarismo e l'autoritarismo violassero l'intercambio di idee e il dibattito. In quel periodo i suoi scritti "Dobbiamo imparare a eliminare vecchi concetti", "Contro il settarismo" e "Contro il burocratismo". Impulsava il protagonismo delle masse, le istituzioni del "poder popular" (potere popolare), e l’autorganizzazione dei lavoratori e delle lavoratrici come unica garanzia di fronte alle tendenze della degenerazione burocratica, la cristallizazione delle direzioni e la spoliticizzazione delle masse. Il suo motto nel periodo: "Rivoluzione che non si approfondisce costantemente, è rivoluzione che retrocede". Contestava così i sostenitori della rivoluzione per tappe e difendeva i risultati approfondendo le trasformazioni. Nel periodo del mercato e della concorrenza l'autogestione operaia si vede sottomessa a pericoli simili.
Se prigionieri della logica produttivista che impone il mercato i lavoratori e le lavoratrici destinano i loro sforzi esclusivamente all'interno dei loro stabilimenti, se abbandonano ogni tentativo di  coordinamento e solidarietà con altre esperienze sarà quasi inevitabilmente il regresso. Che le assemblee si svolgano sempre più dilatate nel tempo e con meno partecipanti, che si deleghino le decisioni tra chi più si fa notare che, infine, crescano forme autoritarie, burocratiche e le differenziazioni salariali. In definitiva che primeggino vecchi vizi del cooperativismo tradizionale.
L'esercizio di leggere gli scritti del Che ci permette, nonostante l'enorme distanza nelle situazioni politiche e sociali, di trovare alcune pezze di appoggio. Non detenersi, approfondire le trasformazioni, lottare per la democrazia diretta. In sintesi affrontare le sfide con audacia e coraggio.
Fidel Castro seppe dire che il tallone di Achille del Che, il suo punto debole, era la sua audacia, il suo totale disprezzo per il pericolo. E chissà così sia, per quanto forse lì si radichi la forza e la grandezza di Ernesto Guevara de la Serna, chi nonostante la distanza, coloro che in quegli anni ci sentivamo i suoi compagni, chiamiamo semplicemente Che.

Buenos Aires, ottobre 2007

* pubblicato nella Rivista n. 3 della Federacion Argentina de Cooperativas di lavoratori/lavoratrici autogestionati (FACTA), Buenos Aires, ottobre 2007.
** Integrante del collettivo EDI-Economisti di Sinistra 

Le citazioni tra virgolette sono di E. Guevara

(1) Ho scritto questo testo nel mio articolo "Guevara: il ritorno del pensatore insorgente" in Che Guevara. Il pensiero ribelle. Ediz. Pena lillo- Continente, Buenos Aires, 2004.
(2) Vedi il mio articolo "Imprese sotto gestione operaia: il successo e i pericoli" in Annuario EDI n. 2, aprile 2006.